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@Azzeccagarbugli
Created March 21, 2017 15:27
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Soluzioni formali della poesia pascoliana
La sintassi di Pascoli è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e subordinate (Carducci e D'Annzunzio). Nei testi poetici pascoliani la coordinazione prevale sulla subordinazione, in modo tale che la struttura sintattica si frantuma in segmenti parattatici di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchi tra di loro spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto. Spesso, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale (successione di semplice sostantivi). La frantumazione pascoliana della frase rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell'intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile (poeta-veggente). È una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione "fanciullesca", alogica, che mira a rendere il mistero, l'alone indefinito che circonda le cose, a scendere intuitivamente nel profondo della loro essenza. Il poeta per tanto appare come un "veggente" dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, colui che per un arcano privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili (il fenomenico), attingere all'ignoto, esplorare il mistero (oltre-fenomenico). In questo quadro si colloca la concezione della poesia pura: per Pascoli la poesia non deve avere fini pratici, filosofici; il poeta canta solo per cantare, non vuole assumere il ruolo di "consigliatore" e di "ammonitore", non si propone obbiettivi civili, morali, pedagogici, propagandistici. Tuttavia, propio questa poesia, che diviene poesia pura, proprio perché assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere "effetti di suprema utilità morale e sociale". Infatti il sentimento poetico, dando voce al fanciullino che è in noi, placa gli odi e gli impulsi violenti che sono propri degli uomini (la prosa "I due fratelli"), induce alla bontà, all'amore, alla fratellanza ("Volemose bene"). Nella poesia pura del fanciullino per Pascoli è quindi implicito un messaggio sociale, un'utopia umanitaria che invita all'afratellamento di tutti gli uomini, al di là delle barriere di classe e di nazione che li separano e li contrappongono gli uni agli altri.
Secondo questa poesia gli oggetti materiali e i particolari fisici si caricano di significati allusivi e simbolici, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi, all'ignoto, di cui sono come messaggi misteriosi e affascinanti. Anche la precisione della nomenclatura botanico-ornitologica con cui Pascoli designa fiori, piante, varietà di uccelli, pur avendo le sue radici nel rigore classificatorio della scienza positivistica assume in lui anche diverse valenze: il termine preciso diviene come la formula magica che permette di andare al cuore della realtà, di attingere all'essenza segreta delle cose.
Pascoli non usa un lessico "normale", fissato entro un unico codice, come era proprio di tutta la tradizione monolinguistica della poesia italiana a partire da Petrarca: Pascoli mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti dai settori più disparati. È un principio formulato nel fanciullino: il poeta, come vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la "lotta" fra le classi di oggetti e di parole.
Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici della lingua dotta a fianco di termini gergali e dialettali, riferentisi alla realtà campestre, in genere tratti dal linguaggio dei contadini della Grafagnana; Pascoli in definitiva utilizza un plurilinguismo per lui finalizzato a ritrovare la parola che meglio indica la possibilità di riprodurre la suggestione provata.
Nella selezione terminologica pascoliana grande importanza hanno gli aspetti fonici, cioè i suoni che compongono le parole (fonosimbolismo). Spesso il fonosimbolismo pascoliano è dato da riproduzioni onomatopeiche di versi di uccelli ('Chiù') o suoni di campane ('Don Don'). A questo proposito nelle atmosfere suggestive pascoliane spesso si inseriscono le voci degli uccelli. Si tratta di un motivo particolarmente caro a Pascoli, che ricorre constantemente si potrebbe dire ossessivamente nella sua poesia. Interpretando la simbologia pascoliana la presenza degli uccelli assume un significato oracolare secondo un suggerimento che il poeta ricavava dalle credenze del mondo classico: quelle degli uccelli sono voci arcane, che lanciano misteriosi messaggi da un ugualmente misterioso al di là della realtà materiale e percepibile con i sensi.
Come la struttura sintattica, anche il verso è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall'interpunzione, da incisi, parentesi, puntini di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambement, che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo.
Il meccanismo è quello della metafora, la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha con il primo un rapporto di somiglianza. Ma l'analogia pascoliana come quella dei simbolisti non si accontenta di una somiglianza facilmente riconoscibile: accosta invece in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote, eliminando tutti i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso dell'immaginazione. Si crea per tanto nella poesia pascoliana un discorso fortemente ellittico, allusivo, che punta sul non detto (i punti del parallelepipedo) e arriva quasi al limite dell'enigmatico, del cifrato.
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