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Created July 27, 2017 11:06
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I reati in ambito informatico e il processo penale

Responsabilità personale Art. 27 Cost.

  1. La responsabilità penale è personale.
  2. L’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva.

Principio di legalità Art. 25 Cost.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Tale principio è trasposto nell’art. 2 del codice penale («Successione di leggi penali») e trova il suo corollario nel principio di tassatività.

Il reato è un FATTO umano ANTIGIURIDICO COLPEVOLE PUNIBILE a cui la legge ricollega una pena.

DELITTI: se la pena principale è quella dell’ergastolo, della reclusione o della multa

CONTRAVVENZIONI: se la pena principale è quella dell’arresto o dell’ammenda

Art. 39 c.p.: “I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice”.

I reati informatici si inquadrano nella categoria dei delitti.

Il FATTO è l’insieme degli elementi oggettivi che individuano e caratterizzano ogni reato come specifica forma di offesa ad uno o più beni giuridici tutelati dalla legge.

Elementi indefettibili del fatto sono: la condotta (azione o omissione) l’offesa al bene giuridico (danno o pericolo)

L’ANTIGIURIDICITÀ è il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’ordinamento giuridico.

Il fatto è antigiuridico quando è commesso in assenza di una causa di giustificazione, ossia di una norma – presente nell’intero ordinamento giuridico – che rende doverosa, o quanto meno facoltativa, la realizzazione del fatto.

Le cause di giustificazione sono:

  • art. 50 c.p.: consenso dell’avente diritto
  • art. 51 c.p.: esercizio di un diritto; adempimento di un dovere
  • art. 52 c.p.: legittima difesa
  • art. 53 c.p.: uso legittimo di armi
  • art. 54 c.p.: stato di necessità

La COLPEVOLEZZA è l’insieme dei requisiti da cui dipende la possibilità di muovere un rimprovero all’agente per aver commesso il fatto antigiuridico.

Tali requisiti sono:

  • dolo, colpa, dolo misto a colpa
  • assenza di scusanti
  • conoscenza / conoscibilità della legge penale violata
  • capacità di intendere e volere (imputabilità)

Il criterio di attribuzione della responsabilità per i delitti è, di regola, il dolo.

L’art. 42, comma II c.p. prevede che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non lo ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto colposo espressamente preveduti dalla legge”. DOLO: rappresentazione e volizione del fatto antigiuridico COLPA: eventuale rappresentazione ma non volizione del fatto antigiuridico, che si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Il DOLO può essere: generico: l’oggetto della rappresentazione e della volizione è solo il fatto concreto descritto nella norma incriminatrice; specifico: l’oggetto della rappresentazione e della volizione è più ampio, e comprende anche un risultato ulteriore che l’agente persegue come scopo, ma la cui realizzazione è irrilevante ai fini della consumazione del reato.

A seconda dell’intensità, il DOLO si classifica come: intenzionale: l’agente si rappresenta il fatto come certo/probabile/possibile e agisce proprio allo scopo di realizzarlo (massimo livello di intensità); diretto: l’agente si rappresenta il fatto come certo o quasi certo e ciò nonostante decide di agire; eventuale: l’agente si rappresenta il fatto come seriamente possibile e accetta il rischio, decidendo di agire “costi quel che costi”. Si distingue dalla colpa con previsione dell’evento (colpa cosciente), ipotesi in cui l’agente si rappresenta come possibile il realizzarsi dell’evento, ma ritiene, per colpa, che non si realizzerà.

La COLPA può essere:

  • generica: violazione involontaria di norme cautelari non codificate (negligenza, imprudenza, imperizia);
  • specifica: violazione involontaria di norme cautelari codificate (leggi, regolamenti, ordini, discipline).

La PUNIBILITÀ è l’insieme delle condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che possono fondare o escludere l’opportunità di punirlo.

Fondano la punibilità le condizioni obiettive di punibilità (art. 44 c.p.).

Escludono la punibilità le cause di esclusione della punibilità (cause concomitanti o sopravvenute di non punibilità e cause di estinzione del reato. Ad esempio: prescrizione e particolare tenuità del fatto).

  • reati commissivi e omissivi
  • reati a forma libera e a forma vincolata
  • reati di evento e di mera condotta
  • reati di danno e reati di pericolo (astratto e
  • concreto)
  • reati comuni e propri
  • reati monosoggettivi e plurisoggettivi
  • reati istantanei, permanenti, abituali

L’art. 56 c.p. prevede che “chi compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto risponde di delitto tentato se l’azione non si compie e l’evento non si verifica”.

Il tentativo: rappresenta un titolo di reato autonomo e non una circostanza attenuante; implica la riduzione da un terzo a due terzi della pena stabilita per il reato consumato; il delitto tentato è necessariamente commesso con dolo.

L’art. 110 c.p. stabilisce il principio generale secondo cui “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.

Il concorso di persone del reato presuppone:

  • una pluralità di persone
  • la realizzazione di un fatto di reato (consumato o tentato)
  • un contributo causale (morale o materiale) della condotta atipica alla realizzazione del fatto
  • la consapevolezza e la volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto

L’art. 81 c.p. disciplina i casi in cui con la medesima condotta siano commesse più violazioni (concorso formale) e quelli in cui più violazioni siano commesse con condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso.

Le CIRCOSTANZE sono situazioni inerenti al reato o alla persona del colpevole che, sul presupposto della sussistenza di una responsabilità penale, comportano una modificazione della pena, aggravandola o attenuandola. Di norma, le circostanze “a efficacia comune” comportano un aumento (circostanze aggravanti) o una diminuzione (circostanze attenuanti) della pena fino ad un terzo. Le circostanze “a efficacia speciale” possono, invece, implicare: una pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato semplice (circostanze autonome); una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice (circostanze indipendenti); un aumento o una diminuzione della pena superiori ad un terzo (circostanze a effetto speciale).

Il PROCEDIMENTO PENALE è lo strumento attraverso il quale si accerta se è stato commesso un reato, se l’imputato ne è l’autore ed, in caso affermativo, quale pena debba essergli irrogata.

Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all’attuazione del diritto penale sostanziale nel caso concreto.

Le INDAGINI PRELIMINARI costituiscono la prima fase del procedimento penale.

Tale fase inizia quando la notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al Pubblico Ministero e termina con l’esercizio dell’azione penale o con l’archiviazione.

Le indagini preliminari consistono nelle investigazioni svolte dal Pubblico Ministero e dalla polizia giudiziaria e sono caratterizzate dalla segretezza. Per tale ragione, di regola, gli atti di indagine non sono utilizzabili ai fini della decisione finale assunta all’esito del dibattimento.

  • identificazione dell’indagato e di altre persone
  • interrogatorio dell’indagato
  • assunzione di informazioni dai possibili testimoni
  • individuazione di persone e di cose
  • ispezione
  • perquisizione
  • sequestro probatorio
  • intercettazioni
  • rilievi e accertamenti tecnici

Le indagini preliminari:

  • i mezzi di ricerca della prova
  • Ispezioni
  • Perquisizioni
  • Sequestro probatorio
  • Intercettazioni

i mezzi di ricerca della prova

Con l’entrata in vigore della L. 18 marzo 2008, n. 48, il Legislatore, ratificando la Convenzione di Budapest del Consiglio d’Europa del 23 novembre 2001, ha “aggiornato” parte delle disposizioni in tema di mezzi di ricerca della prova attraverso il riferimento ai sistemi informatici e telematici, e prevedendo – in parallelo – che tali operazioni assicurino la conservazione dei dati originali e la non alterabilità degli stessi. Le disposizioni in tema di intercettazioni delle comunicazioni informatiche e telematiche erano già entrate in vigore con la L. 23 dicembre 1993, n. 547, con cui sono state introdotte, sul piano sostanziale, le principali fattispecie incriminatrici relative all’ambito del cyber crime.

I principi della “digital forensics”: acquisizione della prova senza alterazione o danneggiamento dei dispositivi originali autenticazione del reperto acquisito garanzia della ripetibilità dell’accertamento analisi senza modificazione dei dati originali imparzialità nell’agire tecnico

L’ispezione

Art. 244 c.p.p. “L‘ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente, curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione.»

La perquisizione Art. 247 c.p.p. “Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato, è disposta perquisizione personale.

Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso, è disposta perquisizione locale.

Quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione (comma 1 bis).

La perquisizione è disposta con decreto motivato. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria delegati con lo stesso decreto.”

Richiesta di consegna Art. 248 c.p.p “Se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata, lautorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa e presentata, non si procede alla perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini. Per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini, l’autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria da questa delegati possono esaminare presso banche atti, documenti e corrispondenza nonché dati, informazioni e programmi informatici. In caso di rifiuto, l’autorità giudiziaria procede a perquisizione.”

Il sequestro probatorio Art. 253 c.p.p. “L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.”

Dovere di esibizione e segreti Art. 256 c.p.p. “Le persone indicate negli articoli 200 e 201 devono consegnare immediatamente all'autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione. (…)”

Custodia delle cose sequestrate Art. 259 c.p.p. “Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso determinandone il modo e nominando un altro custode idoneo a norma dell'articolo 120. All'atto della consegna il custode è avvertito dell‘obbligo di conservare e di presentare le cose a ogni richiesta dell'autorità giudiziaria nonché delle pene previste dalla legge penale per chi trasgredisce ai doveri della custodia. Quando la custodia riguarda dati, informazioni o programmi informatici, il custode è altresì avvertito dell’obbligo di impedirne l’alterazione o l’accesso da parte di terzi, salva, in quest’ultimo caso, diversa disposizione dell’autorità giudiziaria. (…)”

Apposizione di sigilli alle cose sequestrate. Cose deperibili. Distruzione di cose sequestrate Art. 260 c.p.p. “Le cose sequestrate si assicurano con il sigillo dell'ufficio giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell’ausiliario che la assiste ovvero, in relazione alla natura delle cose, con altro mezzo, anche di carattere elettronico o informatico, idoneo a indicare il vincolo imposto a fini di giustizia. (…) Quando si tratta di dati, di informazioni o di programmi informatici, la copia deve essere realizzata su adeguati supporti, mediante procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità in tali casi, la custodia degli originali può essere disposta anche in luoghi diversi dalla cancelleria o dalla segreteria. (…)”.

Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche Art. 266 bis c.p.p. “Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l'intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi”.

Acquisizione di plichi o di corrispondenza Art. 353 c.p.p. “Quando vi è necessità di acquisire plichi sigillati o altrimenti chiusi, l’ufficiale di polizia giudiziaria li trasmette intatti al pubblico ministero per l'eventuale sequestro. (…) Se si tratta di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza, anche se in forma elettronica o se inoltrati per via telematica,  per i quali è consentito il sequestro a norma dell'articolo 254, gli ufficiali di polizia giudiziaria, in caso di urgenza, ordinano a chi è preposto al servizio postale,  telegrafico, telematico o di telecomunicazione di sospendere l'inoltro. Se entro quarantotto ore dall'ordine della polizia giudiziaria il pubblico ministero non dispone il sequestro, gli oggetti di corrispondenza sono inoltrati”.

Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro. Art. 354 c.p.p. “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che e tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero. (…) In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l'alterazione e l'accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità (…).»

L’UDIENZA PRELIMINARE è la fase del procedimento penale che ha la funzione di garantire un controllo giurisdizionale sulla legittimità e sul merito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero.

L’udienza preliminare può anche fungere da sede di definizione anticipata del procedimento quando il Giudice accoglie eventuali richieste di riti alternativi (giudizio abbreviato o patteggiamento).

Il GIUDIZIO DI PRIMO GRADO è la fase del processo propriamente inteso, che si svolge sulla base dei seguenti principi: contraddittorio: le parti partecipano alla formazione della prova (ad es. attraverso l’esame dei testimoni e la produzione dei documenti); oralità: è la regola che il codice di procedura penale accoglie per le dichiarazioni; immediatezza: tale principio presuppone l’identità fisica del giudice che decide e del giudice avanti al quale si svolge il dibattimento, e che la decisione si basi sulle prove acquisite in tale fase; concentrazione: tale principio – nella pratica mai rispettato – impone che non vi siano intervalli di tempo tra l’assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione, in modo che la decisione finale sia fedele alle risultanze del processo. Al termine del processo viene emessa una sentenza, che può essere oggetto di impugnazione.

I PROCEDIMENTI SPECIALI sono quei riti che si distaccano dal modello ordinario in quanto omettono una delle fasi processuali, ovvero l’udienza preliminare o il dibattimento, o entrambe.

Essi comprendono:

  • il giudizio abbreviato
  • l’applicazione della pena su richiesta delle parti (“patteggiamento”)
  • il giudizio immediato
  • il giudizio direttissimo
  • il procedimento per decreto
  • l’oblazione

I PROCEDIMENTI DIFFERENZIATI sono quei riti che, pur avendo una struttura completa (dalle indagini preliminari alle impugnazioni), si differenziano dal modello classico del procedimento avanti al Tribunale Collegiale per alcune peculiarità.

I procedimenti differenziati di interesse sono:

  • il procedimento avanti al Tribunale in composizione monocratica
  • Il procedimento nei confronti degli Enti

I reati che appartengono alla cognizione del GIUDICE MONOCRATICO si dividono in due categorie, a seconda che prevedano o meno l’udienza preliminare. Prima categoria (senza udienza preliminare, reati previsti ex art. 550 c.p.p.)

  • contravvenzioni (purché non di competenza del Giudice di Pace)
  • delitti puniti con la sola multa (purché non di competenza del Giudice di Pace)
  • delitti puniti con pena detentiva fino a 4 anni nel massimo, anche congiunta a multa (purché non di competenza del Giudice di Pace)
  • altri delitti, puniti con pena superiore, indicati nominativamente nell’art. 550, comma II c.p.p. Seconda categoria (con udienza preliminare)
  • Tutti gli altri reati di competenza del giudice monocratico, ovvero tutti i delitti puniti, nel massimo, con pena detentiva compresa tra i 4 e i 10 anni.

I delitti informatici sono di competenza del Tribunale in composizione monocratica.

Con riferimento ai reati di competenza del Tribunale in composizione monocratica, la L. 28 aprile 2014, n° 67 ha introdotto il nuovo istituto della MESSA ALLA PROVA, che consente di sospendere il procedimento al fine di consentire l’affidamento dell’imputato all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie:

  • l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività;
  • l’attuazione di condotte riparative, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato;
  • il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato.

In caso di esito positivo della messa alla prova, il procedimento viene dichiarato estinto.

Il D. Lgs. 8 giugno 2001, n° 231 ha introdotto nel nostro ordinamento la RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI per illecito amministrativo dipendente da reato. L’accertamento della responsabilità e l’applicazione delle sanzioni sono affidate al giudice penale competente rispetto al reato presupposto. La responsabilità dell’Ente si configura in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi: il reato deve essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente, da una persona fisica che rivesta una posizione apicale, di diritto o di fatto. La responsabilità degli Enti è autonoma, in quanto prescinde dalla punibilità in concreto della persona fisica autrice del reato presupposto. Le sanzioni applicabili agli Enti sono pecuniarie (stabilite con un sistema “per quote”) e interdittive. Queste ultime, particolarmente gravose, possono essere applicate anche come misure cautelari. Sono inoltre previste, a titolo di sanzione, la confisca e la pubblicazione della sentenza.

Le IMPUGNAZIONI ORDINARIE sono quelle che si possono esperire prima che la sentenza diventi irrevocabile. Le impugnazioni ordinarie sono l’appello e il ricorso per Cassazione, che possono essere proposte entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 585 c.p.p.). I principi generali che regolano le impugnazioni sono:

  • il principio di tassatività: la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti possono essere impugnati e determina i mezzi di impugnazione;
  • l’effetto sospensivo dell’impugnazione: l’esecuzione della sentenza, di regola, è sospesa durante il corso dei termini per impugnare e fino all’esito dell’ultimo giudizio di impugnazione;
  • l’effetto estensivo dell’impugnazione: la parte che non ha proposto impugnazione può partecipare al giudizio e giovarsi degli effetti favorevoli derivanti da un’impugnazione proposta da altra parte con la quale abbia un interesse identico o collegato;
  • l’effetto devolutivo: la legge consente al giudice dell’impugnazione di conoscere quella parte della materia che è stata oggetto dei motivi di impugnazione.

L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario, mediante il quale le parti chiedono al giudice di secondo grado di controllare una decisione di primo grado che ritengono viziata per motivi di fatto e di diritto. Di regola, il giudice di appello conferma o riforma la decisione impugnata; i casi di annullamento sono eccezionali. La decisione di appello si sostanzia in una nuova sentenza che, a sua volta, può essere impugnata attraverso ricorso per Cassazione.

Il ricorso per Cassazione può proporsi soltanto per i motivi di legittimità tassativamente indicati nell’art. 606, comma I, c.p.p.:

  • a) esercizio, da parte del giudice, di una potestà riservata ad organi legislativi o amministrativi o non consentita a pubblici poteri (eccesso di potere);
  • b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altra norma di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale;
  • c) inosservanza di norme processuali penali stabilite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza;
  • d) mancata assunzione di una prova decisiva richiesta nel corso del dibattimento;
  • e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

La Corte di Cassazione può pronunciarsi con le seguenti sentenze: 1) inammissibilità; 2) rigetto; 3) rettificazione; 4) annullamento (con o senza rinvio).

I REATI INFORMATICI E LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI

Art. 24 bis D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Delitti informatici e trattamento illecito di dati
“In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615 ter, 617 quater, 617 quinquies, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615 quater e 615 quinquies del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria sino a trecento quote. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 491 bis e 640 quinquies del codice penale, salvo quanto previsto dall'articolo 24 del presente decreto per i casi di frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, si applica all'ente la sanzione pecuniaria sino a quattrocento quote. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere a), b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 3 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).”

I REATI INFORMATICI E IL CODICE DELLA PRIVACY

Art. 167 D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 Trattamento illecito di dati

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni.”

Il caso Google Cass. III, 3 febbraio 2014, n. 5107

“Non è configurabile il reato di trattamento illecito di dati personali a carico degli amministratori e dei responsabili di una società fornitrice di servizi di "Internet hosting provider" che memorizza e rende accessibile a terzi un video contenente dati sensibili (…), omettendo di informare l'utente che immette il "file" sul sito dell'obbligo di rispettare la legislazione sul trattamento dei dati personali, qualora il contenuto multimediale sia rimosso immediatamente dopo le segnalazioni di altrui utenti e la richiesta della polizia.” 

Cass. VI, 28 febbraio 2013, n. 9726 Utilizzazione notizie riservate d’ufficio

“La condotta di utilizzazione di notizie di ufficio che devono rimanere segrete integra il solo reato previsto dall'art. 326, comma terzo, c.p. e non anche quello di trattamento illecito di dati personali previsto dall'art. 167 d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto quest'ultimo ha ad oggetto il più generale trattamento di dati personali in violazione delle prescrizioni del citato decreto legislativo, ed è fattispecie residuale rispetto ad illeciti più gravi per effetto della clausola di riserva contenuta nella disposizione che lo contempla.”

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